Partire dagli effetti del decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza per avviare un confronto col governo e nel Paese sulla libertà di stampa, costantemente sotto attacco nonostante i ripetuti richiami alla sua centralità dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Su iniziativa del Sindacato giornalisti Veneto (Sgv), con l’adesione dell’Ordine dei giornalisti, un primo passo nel percorso è stato compiuto con un convegno a Mestre in cui i giornalisti si sono confrontati con docenti universitari, parlamentari, magistrati e avvocati sull’esigenza di coniugare i diritti all’informazione e alla riservatezza, alla luce del nuovo atto normativo. Uno spazio di riflessione ospitato all’interno del direttivo regionale per spronare alla mobilitazione e sensibilizzare l’intera categoria rispetto a un provvedimento che nella sua attuazione si sta trasformando in una sorta di bavaglio all’informazione e al diritto dei cittadini di essere informati in maniera corretta, tempestiva, completa.
I lavori sono stati condotti da Diego Neri, componente della giunta Sgv e giudiziarista.
«Garantismo non è tacere i fatti o silenziare le fonti – ha detto nell’introduzione Monica Andolfatto, segretaria Sgv -. Questo decreto legislativo prevede che la divulgazione delle notizie stia in capo al Procuratore che le rende note solo tramite comunicato o conferenza stampa. Ma in base a cosa viene deciso l’interesse pubblico della notizia? Va aperto un tavolo al ministero della Giustizia per trovare un’interpretazione della norma che salvaguardi il diritto di cronaca».
Questioni su cui ha posto ulteriormente l’accento Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi, rimarcando come il decreto legislativo rischi di diventare un ulteriore ostacolo all’esercizio dell’articolo 21 della Costituzione. «Il cronista – ha sottolineato in un contributo video – ha il dovere di pubblicare le notizie di rilievo sociale, qualunque sia il mezzo con cui ne viene in possesso. Così come le rettifiche vanno date senza reticenza, le assoluzioni evidenziate, il diritto di replica esteso. Un confronto a tutto campo con la ministra della Giustizia Marta Cartabia non è rinviabile, avendo ben presente che crescono contro i giornalisti le minacce di mafiosi e squadristi in un mercato del lavoro in cui precariato e bassi salari dilagano. E, intanto, l’attuazione della legge sull’equo compenso è sospesa da dieci anni e i provvedimenti sulle querele bavaglio attendono da venti».
Un percorso su cui la sintonia tra Sindacato e Ordine dei giornalisti è piena. «La norma – ha ricordato il presidente regionale Giuliano Gargano – è rivolta a tribunali e forze di polizia, ma con effetti devastanti per il nostro lavoro che non è in contrasto con la doverosa tutela della dignità delle persone indagate e imputate».
Genesi e criticità del decreto legislativo sono state approfondite dalla professoressa Marina Castellaneta, ordinaria di Diritto internazionale all’università di Bari. «La direttiva europea per il rafforzamento della presunzione d’innocenza – ha premesso – non ha il fine di intervenire sui rapporti della giustizia con la stampa. Il non presentare come colpevoli gli indagati non significa non divulgare le informazioni. E la direttiva lo prevede, ma mai consente un’attenuazione della libertà di stampa. Le notizie sono beni pubblici e deperibili: il meccanismo farraginoso disposto dal decreto rischia di ritardarne la diffusione, privandole di valore e interesse. Per essere in linea con la direttiva, bastava confermare la norma vigente dal 2006, come hanno fatto altri Stati membri Ue». La docente è stata molto netta affermando che il legislatore ha introdotto delle aggiunte del tutto estranee al dettato europeo, come appunto l’obbligo di informare con comunicati e conferenze stampa, e ha suggerito che si potrebbe segnalare queste anomalie alla Commissione europea affinché possa avviare un monitoraggio sul recepimento italiano e inviare una lettera di messa in mora all’Italia perché quale effetto involontario del decreto si è arrivati a comprimere il diritto della libertà di espressione.
Insomma, in Italia il legislatore sarebbe andato oltre le indicazioni comunitarie.
L’onorevole Pierantonio Zanettin, componente della commissione Giustizia della Camera, ha spiegato: «Resto convinto che andasse dato un segnale politico. Il mancato rispetto della presunzione di innocenza in giornali e tv che apre la strada alla gogna pubblica provoca danni irreversibili».
Ma che vi siano non poche complessità è chiaro anche a chi opera nelle Procure. «Il procuratore si trova a interpretare un ruolo delicatissimo – ha premesso il procuratore di Padova, Antonino Cappelleri – ma già dal 2006 ha la funzione di portavoce delle attività. Certo, il nuovo regime rende difficoltosi i rapporti quotidiani e questo è un dato palese a tutti. C’è un difetto di spiegazione di cosa sia il pubblico interesse, con problemi di interpretazione e gestione di una norma non sufficientemente definita. Ma se ciò che è reato non ha un interesse pubblico allora viene da dire che non sia neanche un reato. Nel tempo si arriverà a un assestamento».
Fluidificare i rapporti tra giustizia e informazione è una priorità pure per Hans Roderich Blattner, componente della giunta esecutiva veneta dell’Associazione nazionale magistrati: «La burocratizzazione del flusso delle notizie – ha detto – non c’entra con la presunzione d’innocenza. I processi mediatici nascono spesso da fonti incontrollate: più c’è il “proibizionismo” delle fonti, più si riverberano questi effetti».
D’accordo sul riferimento alla fluidità l’avvocato Gianni Morrone, presidente emerito della Camera penale padovana: «L’unica garanzia per imputato e indagato è il rispetto delle norme – ha rimarcato – e per le garanzie non cambia nulla, perché il codice di procedura è sempre quello».
Le differenze, appunto, stanno nella procedura, non compatibile con le esigenze di tempestività dell’informazione. «L’allungamento dei tempi non è un effetto modesto – ha precisato Renzo Mazzaro, cronista e autore di diversi libri d’inchiesta su affari e politica in Veneto – volendo indulgere a retropensieri, non è che si voglia trasformare il Procuratore capo in un capro espiatorio, in un sistema a circuito chiuso? Questo potrebbe essere un nuovo episodio di guerra tra magistrati e politici, di cui i cittadini e i giornalisti fanno le spese».
E anche se gli spazi per accedere alle fonti istituzionali si restringono, le cronache non si fermeranno. «Se c’è anche un solo brandello di notizia – ha osservato Luana de Francisco, giudiziarista e autrice di inchieste sulla presenza della criminalità organizzata a Nordest – e questa non lede al prosieguo delle indagini, è certo che la si pubblicherà. Se il legislatore stacca la spina del dialogo, lede in primis l’indagato, fermo restando che nessun giornalista che lavora come si deve darebbe del colpevole a chi ancora non lo è».
Infine, Matteo Naccari, presidente dell’Associazione stampa Emilia Romagna (Aser), sindacato che spesso collabora con Sgv, ha rilanciato sulla necessità di una mobilitazione capillare: «Una sorta di porta a porta con le singole Procure – ha proposto – per segnalare difficoltà e alimentare il dialogo per cercare di trovare delle linee condivise».