Archivio mensile:Novembre 2013

«Così lo stato ha coperto il traffico di rifiuti»

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Una testimonianza chiave che apre una ipotesi inquietante sul traffico di rifiuti tossici in Campania: apparati dello Stato avrebbero coperto gli autori dello sversamento dei veleni nelle campagne aversane. Stavolta, la gola profonda non è un pentito di camorra, ma un sottufficiale della Guardia di Finanza, ora in pensione: Giuseppe Carione, che in tutti i modi, avrebbe cercato di fermare i camion della morte prima che interrassero le scorie. Ebbene, il maresciallo capo prima fu estromesso dal caso e poi, addirittura, trasferito. Quei veleni sono finiti sotto terra e a scoprirlo sono stati i carabinieri solo due anni dopo, quando il danno era stato fatto. Sul quel caso si è aperta una delle più importanti inchieste sul traffico illecito di rifiuti in Campania “Terra Madre”. Le dichiarazioni del maresciallo sono state depositate al Gip di Santa Maria Capua Vetere il 2 luglio scorso, sono tutte da verificare, ma si tratta di accuse gravissime. La premessa di Carione, fa tremare le vene ai polsi: la Finanza non avrebbe «mai represso» «un grosso traffico di rifiuti pericolosi smaltiti illecitamente nelle campagne tra Aversa e Lusciano», «riconducibile ai casalesi». Di quel traffico, non fu «mai informata l’Autorità giudiziaria». Carione dice che nell’aprile del 2002 fu avvicinato da Gaetano Vassallo, proprio lui, il boss pentito che per 20 anni ha avvelenato le terre campane, il “ministro dei rifiuti” del padrino Francesco Bidognetti. Fu proprio Vassallo, «abituale frequentatore della caserma», a spifferargli di quegli sversamenti. Non perché in lui si era risvegliata improvvisamente una coscienza civile, ma per «gelosia imprenditoriale». Su quei «terreni agricoli», dove sarebbero state piantate verdure che sarebbero finite sulle tavole degli italiani, stavano sversando i concorrenti, i «fratelli Roma» (poi arrestati dai carabinieri tre anni dopo), che gestivano le ditte “Rfg” di Trentola Ducenta e “Siser” di Villa Literno. Vassallo chiedeva al finanziere di effettuare controlli su queste due società. Carione, secondo quanto affermato al Gip, accompagnò Vassallo da un suo superiore della compagnia di Aversa al quale raccontò tutto. E qui arriva la parte più grave del racconto del maresciallo capo: «Nel pomeriggio dello stesso giorno, ci portammo presso le campagne indicateci. L’ufficiale ebbe modo di verificare l’attendibilità della segnalazione. Da una postazione riservata osservammo che alcuni camion con cassoni scaricavano su una tenuta di terreno agricolo incolto e senza piante, grossi quantitativi di fanghi umidi di colore grigio scuro, mentre un grosso escavatore meccanico provvedeva immediatamente ad occultarli sotto terra». I finanzieri, prosegue il racconto, seguirono anche il camion con l’auto privata di Carione. I fanghi provenivano da una fabbrica per il trattamento di rifiuti dei fratelli Roma. Ma «anziché intervenire», l’ufficiale ordinò «di fare rientro in caserma rinviando ogni intervento al giorno successivo». Il giorno successivo, però, non ci fu alcun intervento. «Da quel momento non ho saputo più nulla. Sono stato escluso da qualsiasi servizio della specie. E, per quanto mi è dato sapere, non venne informata l’Autorità giudiziaria». Anzi, il mese successivo il maresciallo fu trasferito d’urgenza alla tenenza di Ischia. Ma sul caso fece una relazione di servizio, che fu inviata sia al comandante provinciale che a quello regionale della Guardia di Finanza. Carione dice altre due cose importanti: Vassallo, il ras dei rifiuti, era abituale frequentatore della caserma, ma su di lui non vennero fatti mai accertamenti. E che quei camion potevano essere fermati. Eppure, il caso fu scoperto solo nel 2004, quando uno degli autori di quello scempio, Raffaele Roma, proprietario di quel fondo agricolo, e fratello di Generoso Roma, titolare della Siser che si occupava dello smaltimento dei rifiuti pericolosi, decise di parlare.

 

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De Magistris: io sindaco odiato? Sono uno che divide

Luigi de Magistris sindaco di NapoliUn pulcinella con la pizza in mano, corni di ogni dimensione e il libro su “Paolo Borsellino e l’agenda rossa”. Poi tante carte dietro le quali il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, un metro e novanta, sembra scomparire. «L’esperienza da sindaco mi ha provato sia fisicamente che psicologicamente. Ma l’entusiasmo c’è sempre, e sono pronto a ricandidarmi per portare a compimento la rivoluzione», dice, mentre chiede un bicchiere d’acqua a un commesso che sembra essere stato assunto a Palazzo San Giacomo dai Borbone.

Sindaco, che fine hanno fatto gli arancioni?

«Le elezioni che ci sono state nel 2011 sono state caratterizzate da movimenti di popolo fuori dagli schemi, di rottura, e con aspetti di forte reazione rivoluzionaria rinascimentale. Poi non si è avuta la forza, la volontà, magari anche la capacità e il tempo di organizzare quel movimento. Gli arancioni rimangono, perché rappresentano quella voglia che c’è nel nostro Paese di avere una dirigenza politica all’altezza della sfida di questo momento storico».

Per eventuali elezioni politiche farà di nuovo campagna elettorale?

«Pochi giorni fa sono stato a Vienna, il sindaco di quella città mi ha chiesto a che partito appartenessi. Gli ho risposto che non ho partito. Lui ha poi osservato: “Del resto, il tuo partito è Napoli”. È vero. Da qui alla fine del mio mandato, nel 2016 farò esclusivamente il sindaco di Napoli».

Vede nella svolta renziana del Pd una prospettiva nuova per un partito che lei, spesso, ha duramente contrastato?

«Non posso essere che felice se migliorano i rapporti tra il Pd locale e il sindaco di Napoli. Le prime dichiarazioni del segretario provinciale io le ho apprezzate, perché ci sono toni e contenuti diversi rispetto al duo Cimmino-Ruggiero. Guardo con molto interesse anche al congresso del Pd, ma non mi schiero. Mi auguro che la città di Napoli, attraverso il suo sindaco, possa avere rapporti più proficui col Pd nazionale. In oltre due anni di governo della città, l’ausilio che è arrivato da forze parlamentari nei confronti della città è stato ridotto ad un lumicino di candela. In alcuni momenti ho avuto addirittura la percezione che ci sia stata un’azione di ostacolo».

Si riferisce a qualche episodio in particolare?

«C’è chi ha lavorato per il fallimento della città e ancora oggi lavora per questo».

Si sente più un sindaco amato o odiato?

«Anche nella mia esperienza di magistrato, sono stato una persona che ha diviso. Questo dipende anche dal mio carattere: non conosco una zona grigia nei miei comportamenti. Per questo o c’è uno schieramento di amore, di passione e di sostegno forte o, certe volte, c’è un atteggiamento di astio. Io lavoro, però, perché ci sia una unità nell’interesse della città di Napoli e nel rispetto delle diversità. Nel momento delle elezioni politiche ho percepito un atteggiamento astioso da parte di un pezzo di città, abbastanza forte e che non andava bene. Poi ho ascoltato, e ho trovato anche una volontà di ascolto dall’altra parte. Ora stanno prevalendo nettamente le ragioni di amore».

I comitati civici e i socialnetwork hanno avuto un ruolo fondamentale nella sua campagna elettorale, adesso, però, proprio dal web arrivano i suoi maggiori oppositori.

«Chi si è messo contro di noi si è subito organizzato con ramificazioni nel mondo politico, istituzionale, dell’informazione. Il sistema che abbiamo disarticolato, adesso si sta riorganizzando, preme per rientrare, vuole fagocitare consulenze e appalti, vuole mettere le mani sulla città».

Bassolino lancia spesso strali nei suoi confronti e tenta di impartirle lezioni di Amministrazione.

«Parlandone tanto gli si dà una credibilità maggiore di quella che ha. Bassolino ha chiuso un ciclo. Spesso sento giudizi tranchant nei miei confronti che governo da soli due anni senza soldi, senza partiti, da uno che ha governato 20 anni con mezzi, soldi e partiti. Venti anni sono un ciclo, un’epoca storica, un’epopea. Ora ha chiuso. Io non penso che i politici debbano andare via, possono dare il loro contributo, ma non con la pretesa di rifarsi una verginità che non gli può appartenere. Il giudizio politico su di lui è pesantemente negativo, ma non mi sfuggono i dati positivi, come nella prima parte del suo mandato di sindaco. Insomma, non penso che la città si possa appassionare sul ritorno del vecchio che non ha funzionato».

Chi sostituirà l’assessore Giuseppina Tommasielli, sarà qualcuno del Pd?

«Chiarisco che non ci saranno rimpasti come ce ne sono stati in precedenza. Oggi ho trovato un assestamento di Giunta che mi soddisfa parecchio: è bene assortita, lavora. Non sono quelli che hanno fatto la campagna elettorale con me, della prima ora, con i quali c’erano passione e affinità, ma non c’era la giusta macedonia di competenze. Oggi c’è un equilibrio. Nominerò il nuovo assessore certamente entro Natale, ma spero di riuscirci anche entro questo mese. Sarà una donna, non verrà dai partiti e non sarà indicata dai partiti».

Lei ha cambiato tutta la Giunta, tranne Sodano e Palmieri. Come hanno fatto a resistere?

«Non avevo partiti, non avevo una esperienza di amministrazione, non pensavo di vincere le elezioni, in pochi giorni ho dovuto fare una Giunta. Non scelgo in base a lobby, cricche, non devo alzare il telefono per decidere. È evidente che in queste condizioni alcune cose vanno bene e altre non funzionano. Palmieri e Sodano non ci sono motivi per cambiarli, forse anche qualche altro assessore poteva restare. Ma ci sono stati degli scossoni che poi mi hanno costretto a fare delle scelte. Tommasielli non l’avrei cambiata se non ci fosse stato l’incidente dell’inchiesta. Altri non hanno prodotto i risultati che mi aspettavo. Ma le tensioni sono rimaste con pochi».

Alcuni l’accusano di utilizzare due pesi e due misure: Tommasielli indagata va via, Sodano pluri-indagato resta. Perché?

«Non facciamo passare Sodano per Totò Riina. Facendo gli amministratori come li facciamo noi, contro i poteri forti, è normale trovarsi sotto il fuoco di esposti e denunce. Io non andrò mai dietro alle vicende giudiziarie. Sulla Tommasielli, non c’entra l’indagine della Procura, poteva trattarsi anche di una denuncia giornalistica. È la vicenda in sé, quella delle multe cancellate per intenderci, che ha lasciato un’ombra. Sono certo che non ci sia nulla di penalmente rilevante, ma nell’immaginario dei cittadini questa cosa ha pesato molto. È stato giusto il passo indietro. La Tommasielli dice “spintaneo”, effettivamente c’è stato un forte movimento in questo senso».

La persona che l’ha delusa di più?

«Mi aspettavo che fosse molto meglio, ma oggettivamente deludente è stato Realfonzo. Era l’unico assessore che avevo scelto in campagna elettorale. Qualche campanellino di allarme lo avevo avuto, perché non si è voluto candidare. Ricordo la sua paura di non prendere voti. Mi sono fatto influenzare da quello che avevo letto, ho capito troppo tardi che si trattava di una bolla mediatica. Pensavo che fosse in grado di affrontare la crisi economica devastante del Comune. Devo dire che tra Realfonzo e Palma c’è un abisso».

L’errore più grande che ha commesso?

«Appoggiare alla campagna elettorale delle Politiche Ingroia. La gente giustamente ha pensato che mi stessi distraendo dal mio ruolo di sindaco».

Qualcuno che si è pentito di avere nominato?

«Il prefetto Silvana Riccio come direttore generale del Comune. Le ho dato ampi poteri e mi ha fatto perdere molto tempo nella riorganizzazione della macchina amministrativa, producendo degli errori seri che hanno inciso anche sulla vicenda del blocco delle assunzioni del personale. Sono stati prodotti danni che abbiamo avuto il coraggio di riparare, ma che ci hanno fatto perdere del tempo».

La cosa migliore che ha fatto?

«Aver ridato un’immagine positiva alla città, quella di una città che rinasce. E i dati sul turismo confermano questo aspetto, visto che siamo la prima città in Italia per crescita di visitatori in questi due anni in cui tutti sono in crisi. È la cosa a cui tenevo di più. Mi mortificava profondamente l’immagine della spazzatura».

Per questo ha utilizzato la politica dei grandi eventi?

«Ha dato una mano. Però adesso siamo passati alla politica degli eventi. Il grande evento ha suscitato anche una giusta reazione da una parte dei napoletani che hanno avuto la sensazione che ci occupassimo poco delle periferie. Invece, questa seconda parte del mandato è concentrata maggiormente sulle grandi problematiche sociali della nostra città. Napoli è lanciata, del resto, ad essere la città degli eventi. Basti pensare al Natale, tanti eventi, che in sé rappresentano un grande evento».

Non tornerà la Coppa America?

«Torneremo a tante manifestazioni sportive. Per quanto riguarda la Coppa America, sono gli americani che hanno il pensierino di fare la finale a Napoli. Se ci fanno una proposta noi diremo di sì. Così come c’è la nostra candidatura per gli Europei di nuoto del 2014. Napoli resta la città degli eventi, dello sport e vuole essere sempre di più la città dei giovani».

Gli obiettivi del 2014 da questo punto di vista quali sono?

«Innanzitutto, la buona riuscita del Forum delle Culture che avrà la sua esplosione in primavera. L’inaugurazione ci sarà lunedì prossimo, partirà con poche iniziative fino alla fine dell’anno, con un progressivo aumento in inverno per avere il suo clou in primavera. Durerà fino al 30 giugno, ma io ho la speranza di riuscire a portarlo fino a settembre».

Ci saranno altri concerti al Plebiscito?

«Ci saranno, ma se lo diciamo ci mettono il recinto e il lucchetto. Siccome siamo per le piazze libere e vive annunceremo a tempo debito il concerto».

Sarà sul livello di quello di Springsteen?

«Per il Forum ci saranno concerti importanti».

Un sindaco viene ricordato per le opere pubbliche che ha realizzato, un’opera per la quale sarà ricordata la sua amministrazione?

«Ci si ricorderà del lungomare. Lo abbiamo aperto alle persone e chiuso alle auto e entro la fine del mandato lo riqualificheremo tutto: da via Posillipo al Molosiglio. Poi ci sono i tre Grandi Progetti. A giorni presenteremo quello Unesco sul centro storico. Confermo che bandiremo le gare entro il 2013. Tutti i cantieri partiranno nel 2014 e le opere termineranno entro il 2015. Parliamo di Napoli Est, Bagnoli e centro storico».

La metro di piazza Garibaldi aprirà a dicembre?

«Il 2 dicembre inaugureremo la stazione della Linea 1 con il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi e poseremo, al Centro Direzionale, la prima pietra per la costruzione dell’anello che collegherà l’aeroporto alla Stazione centrale».

Per la metro, quali cantieri si chiuderanno nel periodo del suo mandato?

«Tutti. Anche quelli della Linea 6, Riviera di Chiaia, piazza Municipio. Non quelli nuovi».

Lei ha parlato anche di stadio, ha detto che entro il 2016 sarà tutto fatto.

«Questo dipende anche da De Laurentiis. Però c’è un impegno forte. Stiamo lavorando per chiudere l’accordo entro l’anno. Napoli ha bisogno di un impianto funzionale per la società e per la città. Nonostante la brutta figura che abbiamo fatto con la Juve (scherza)».

Le società partecipate sono al collasso.

«Abbiamo ereditato società partecipate fallite. Questa mattina ho firmato il decreto per la costituzione della holding dei trasporti, la più grande del Mezzogiorno, forse d’Italia in termini di numeri. Si tratta di operazioni strutturali che hanno salvato aziende che erano fallite, Anm era al collasso. Non ero obbligato. Potevo fare come la Regione che ha fatto fallire le proprie Partecipate. Egoisticamente, avrei potuto scaricare sulle amministrazioni precedenti i fallimenti e liberarmi delle zavorre. Invece, ci siamo fatti carico di tutti i singoli lavoratori».

Siamo fuori dal dissesto?

«Quando sono diventato sindaco i creditori venivano pagati a 4 anni, alla fine di quest’anno arriveremo a 18 mesi. E continuando l’opera strutturale che stiamo realizzando, a fine 2014 dovremmo pagare a 60 giorni. Diventeremo, cioè, un Comune virtuoso. È una rivoluzione più di ogni altra».

Si fida poco delle persone che la circondano, questa è la sensazione.

«Mi porto dietro un vizio d’origine. Avendo fatto per 15 anni il magistrato in prima linea in Calabria e a Napoli, e avendo visto in alcuni momenti che le persone che mi erano più vicine hanno tentato di “accoltellarmi”, sono uno che sta molto attento. Ma come sindaco ho dato fiducia a persone come la Riccio, Realfonzo, a persone che non erano troppo idonee a ricoprire un incarico politico come Pino Narducci».

È vero che il prossimo comandante della polizia municipale Acanfora è il suo testimone di nozze?

«L’unico mio “torto” sarebbe stato quello di aver fatto conoscere Acanfora, che collaborava con me, con la moglie che è un magistrato che lavorava nella mia stessa Procura. Quando si sono sposati hanno voluto che fossi loro testimone. Il fatto che abbia scelto tra i miei due più stretti collaboratori due persone che ho visto lavorare con i miei occhi contro la ’ndrangheta, contro la corruzione, non è malapolitica. E poi ne ho scelti tanti tra persone che nemmeno conoscevo, ne ho scelto alcuni su Facebook».

In consiglio comunale aveva una maggioranza bulgara, ora è traballante. Cosa è successo?

«È vero che la maggioranza era bulgara. Molti sono stati eletti perché si sono candidati con me, poi sono passati dall’altra parte. Ora c’è chi con 180 voti si sente il Salvador Allende del Comune di Napoli. Non mi sento con una maggioranza in bilico. Anzi, negli ultimi 7 mesi ho apprezzato il lavoro del consiglio comunale, anche dell’opposizione (Lettieri a parte). Tuttavia, rispetto tutti, anche i consiglieri con 180 voti. Non è la stessa cosa dall’altra parte. C’è un po’ di ingenerosità».

Dopo la sua esperienza da sindaco che farà?

«Alla fine di questo mandato mi ricandiderei. Mi farebbe piacere aprire un ciclo di rottura e ricostruzione, completare l’opera di demolizione degli interessi e delle mura distorte di questa città e costruire un edificio stabile, un edificio da aprire ai giovani. Ma ci vuole oggettivamente un periodo più lungo di 5 anni per come abbiamo trovato la situazione».