Insulti via social a Paolo Borrometi, ancora una condanna

Si è concluso con una condanna e una assoluzione il processo in primo grado di giudizio per le frasi diffamanti ed ingiuriose rivolte al giornalista Paolo Borrometi – vicedirettore dell’Agi e responsabile della testata giornalistica online “Laspia.it” – e alla sua famiglia. I fatti risalgono ad agosto del 2016. Si tratta dei commenti a un articolo del giornalista, pubblicato anche su Facebook, e che aveva come titolo “Da Noto a Rosolini, passando per Avola e Pachino: viaggio nel ‘regno’ dei Trigila”.

Desirèe Crapula, figlia del capomafia di Avola (Siracusa) Michele, è stata condannata davanti al giudice monocratico presso il Tribunale di Ragusa a 6 mesi di reclusione, oltre al risarcimento di 2.500 euro a Borrometi (oltre interessi fino al versamento) e al rimborso delle spese legali. La donna aveva dato al giornalista del “fallito” e del “persecutore” per i suoi articoli, e ne aveva diffamato il padre.

Nel commento anche l’invito a scrivere “i nomi dei tuoi amici giudici che ti informino e ti autorizzano a dire tutto cio’, li porterai in tribunale con te… per fare due lire non sapere nemmeno quello che dire la spia”.

Desirèe Crapula, condannata in primo grado, per contenuti diffamatori del suo messaggio, è figlia di Michele Crapula già condannato come capo per associazione mafiosa. La famiglia Crapula, è considerata clan di spicco nell’Avolese affiliata al clan Trigila.

Nella relazione semestrale gennaio-giugno 2020, la Direzione investigativa antimafia scriveva così: “Nel comprensorio avolese è anche presente, in una posizione operativa più marginale in quanto agisce come articolazione dei Trigila, il gruppo facente capo ai Crapula – si legge nella relazione della Dia – già colpito, nel gennaio 2019, da un’indagine che ne aveva decimato i ranghi. Si tratta dell’operazione ‘Eclipse’, con la quale furono tratte in arresto 10 persone a vario titolo ritenute responsabili di danneggiamento seguito da incendio, tentata estorsione aggravata in concorso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravati dall’agevolazione dell’associazione mafiosa della famiglia Trigila e dei Crapula di Avola”.

Assolta Roberta Di Maria con la formula “perché il fatto non sussiste”.

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