Via libera dalla Camera alla legge che modifica le norme sulla diffamazione, la diffamazione a mezzo stampa e l’ingiuria. Con 295 voti favorevoli, 116 astenuti e 3 contrari, l’aula ha approvato il testo che passa ora nuovamente al Senato. Mai più carcere per i giornalisti in caso di diffamazione, dunque, ma solo pene pecuniarie. In compenso, viene introdotto l’obbligo di rettifica senza commento a favore dell’offeso.
“La cancellazione del carcere per i giornalisti riporta l’Italia nel consesso delle grandi democrazie”, afferma Raffaele Lorusso, segretario generale della FNSI, commentando a caldo la notizia dell’approvazione, da parte della Camera, del ddl sulla riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa. “Si tratta di un bel balzo in avanti che cancella una vergogna durata troppo tempo – osserva Lorusso – È altresì apprezzabile il compromesso raggiunto sul contrasto al fenomeno delle querele temerarie, che rappresenta una forma indiretta di intimidazione all’esercizio del diritto di cronaca. Restano, comunque, alcune criticità. A cominciare dalla previsione dell’obbligo di rettifica senza risposta e senza commento. Così com’è formulata, infatti, la norma rischia di diventare fonte di contenzioso giudiziario sulle modalità di applicazione, oltre che un ostacolo all’esercizio del diritto di cronaca, soprattutto nelle testate più piccole. L’approvazione di questa riforma poteva inoltre essere l’occasione per istituire il Giuri per la correttezza dell’informazione, a garanzia e tutela dei cittadini nell’ottica di prevenire il ricorso al contenzioso giudiziario. Si tratta di un passaggio ineludibile, che dovrà essere affrontato in sede di riforma radicale della legge ordinistica, ormai fuori dal tempo e dal mondo perché continua a produrre storture non più sostenibili sia sotto il profilo del governo della professione sia sul mercato del lavoro”.
“È comunque auspicabile – conclude Lorusso – che il Senato approvi in fretta la riforma, magari migliorandola nei punti che appaiono ancora controversi, non certo peggiorandola, o peggio affossandola, come purtroppo è avvenuto in passato, non senza la complicità occulta di una parte della categoria, ogni qualvolta sono state esaminate norme riguardanti la professione giornalistica”.
Approvando la proposta di legge la Camera ha modificando in parte il testo trasmesso dal Senato: sono state soppresse, tra l’altro, la norma in base alla quale è il direttore a rispondere degli articoli non firmati e quella sul cosiddetto diritto all’oblio, il diritto cioè a eliminare dai siti e dai motori di ricerca le informazioni diffamatorie. Diverse, in ogni caso, le novità introdotte: ecco, in sintesi, i punti principali.
Niente più carcere per il giornalista che diffama a mezzo stampa, ma esclusivamente una multa che va dai 5mila ai 10mila euro. Se il fatto attribuito è però consapevolmente falso, si applica la multa da 10mila a 50mila euro. Alla condanna è associata la pena della pubblicazione della sentenza. In caso di recidiva, vi sarà anche l’interdizione da uno a sei mesi dalla professione.
La rettifica tempestiva e senza commento sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità. Rettifiche o smentite, purché non inequivocabilmente false o suscettibili di incriminazione penale, devono essere pubblicate senza commento e risposta menzionando espressamente il titolo, la data e l’autore dell’articolo ritenuto diffamatorio. Il direttore dovrà informare della richiesta l’autore del servizio. Tempi e modalità della pubblicazione in rettifica variano a seconda dei diversi media. Se però vi è inerzia, l’interessato può chiedere al giudice un ordine di pubblicazione (per il cui mancato rispetto scatta una sanzione amministrativa da 8mila a 16mila euro).
Nella diffamazione a mezzo stampa il risarcimento del danno sarà quantificato sulla base della diffusione e rilevanza della testata, della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatorio della rettifica. L’azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione.
Responsabilità del direttore. Fuori dei casi di concorso con l’autore del servizio, il direttore o il suo vice rispondono a titolo di colpa se vi è un nesso di causalità tra omesso controllo e diffamazione, la pena è in ogni caso ridotta di un terzo. È comunque esclusa per il direttore al quale sia addebitabile l’omessa vigilanza l’interdizione dalla professione di giornalista. Le funzioni di vigilanza possono essere delegate, ma in forma scritta, a un giornalista professionista idoneo a svolgere tali funzioni.
In caso di querele temerarie, il querelante può essere condannato anche al pagamento di una somma da mille a 10mila euro in favore della cassa delle ammende. Chi invece attiva in malafede o colpa grave un giudizio civile a fini risarcitori rischierà, oltre al rimborso delle spese e al risarcimento, di dover pagare a favore del convenuto un’ulteriore somma determinata in via equitativa dal giudice che dovrà tenere conto dell’entità della domanda risarcitoria.
“Clausola salvacronisti”: a meno che non si tratti di diffamazione dolosa, quanto pagato dal direttore o dall’autore della pubblicazione a titolo di risarcimento del danneggiato avrà natura di credito privilegiato nell’azione di rivalsa nei confronti del proprietario o editore della testata.
Da oggi anche i giornalisti pubblicisti, e non più solo i professionisti, potranno far valere il segreto professionale da opporre alle eventuali richieste di un giudice nell’intento di tutelare le proprie fonti.
Da oggi, infine, anche le testate giornalistiche online e radiotelevisive rientrano nella legge sulla stampa.
Ultimo punto: ingiuria/diffamazione. Anche per l’ingiuria e la diffamazione tra privati viene eliminato il carcere ma aumenta la multa (fino a 5mila euro per l’ingiuria e 10mila per la diffamazione) che si applica anche alle offese arrecate in via telematica. La pena pecuniaria è aggravata se vi è attribuzione di un fatto determinato. Risulta abrogata l’ipotesi aggravata dell’offesa a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.