È un Paese strano il nostro, dove gli assassini scrivono in prima pagina. Leggo spesso su Repubblica i commenti di Adriano Sofri, condannato per l’omicidio del commissario Calabresi. Leggo sullo stesso giornale dei processi al presidente del consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi. Si sprecano interventi dei vertici del quotidiano o di notisti politici di tutto rispetto sulla questione morale: può una persona accusata di reati gravissimi, come il premier, essere la guida del Paese? No, certamente. Ma la questione morale riguarda tutti e non solo i nostri nemici. C’è un uomo condannato per un delitto gravissimo, il più grave che un uomo possa commettere. E c’è un uomo indagato per reati molto gravi e per questo, per il nostro sistema giudiziario, innocente fino a prova contraria. Il primo è Sofri, cui Repubblica e altri giornali, affidano commenti su questioni morali fondamentali (mi viene in mente il caso di Eluana Englaro, ad esempio). Il secondo e Berlusconi, cui Repubblica chiede conto del Bunga Bunga e di come abbia trasformato il Paese in un bivacco per i suo manipoli e lo invita a dimettersi.
È evidente che i conti non tornano. La logica non ci aiuta a comprendere questa disparità di trattamento. Un assassino viene assurto a guida morale per i lettori e un presunto imbroglione viene perseguitato come il peggiore dei mali. È un paradosso che renderà per sempre inefficace qualsiasi battaglia contro mister B. Il Cavaliere si difende accusando i giudici politicizzati che vogliono farlo fuori. Repubblica risponde che i reati sono evidenti e che il presidente deve dare risposte agli italiani e alla Giustizia. Per Sofri le cose cambiano. In questo caso, per Repubblica e per tanti altri, i giudici hanno fallito e hanno condannato un innocente. Allora l’ex direttore di Lotta Continua, condannato definitivamente dal tribunale, viene assolto dal giornale che gli offre la prima pagina, concedendogli una libertà più grande di quella che avrebbe potuto avere fuori dal carcere.
È la stessa giustizia fai-da-te di Berlusconi, è lo stesso atteggiamento di delegittimazione del sistema giudiziario.
Non si assolvono gli assassini in redazione. Il ruolo di un giornale, di un grande giornale, è quello di lottare fino alla nausea per dimostrare la verità. Come si vuole dimostrare che Berlusconi è un corruttore e un affarista, così si deve dimostrare che Sofri è innocente. E la verità deve essere talmente chiara da convincere i giudici a riscrivere le sentenze. È possibile, è successo.
L’impressione, altrimenti, è che venga salvato, sempre e comunque, solo chi appartiene, nel bene e nel male, ad una casta: si può commettere qualsiasi delitto, basta essere nel giro giusto.