Archivio mensile:Novembre 2010

The Social Network, in un film la solitudine di Facebook

di Roberto Gallone *

“And right now you could care less about me, but soon enough you will care” (e ora potrebbe importarti di meno di me, ma presto ti importerà) recita il testo della vibrante Ball & Biscuit dei White Stripes nell’overture di The Social Network (in Italia nelle sale dal 12 novembre). “Baby you’re a rich man too” (ragazzo sei anche tu un uomo ricco) cantano i Beatles alla fine del film.  A chi può importare di un ragazzo che ha un’idea “geniale”? A chi può “importare” un “ragazzo ricco”? Potrebbe essere questa l’analisi che ci propone David Fincher (Se7en, Fight Club, Zodiac) sulla vicenda che racconta la storia (quella di Mark Zuckerberg) e le storie (le vicende processuali) che si nascondono dietro il più popolare e più cliccato social network dei nostri tempi. Tratta il tutto, però, senza celebrazioni e sembra quasi voler documentare e raccontare una storia senza spessore, inutile e priva di valori. Il gioco funziona e Fincher pare volersi soffermare più che sul riconoscimento di un talento sulla pochezza dei personaggi e sulla vicenda squallida. Lo fa con un ritmo vibrante, con la misura dell’inquadratura, con l’esperienza di chi conosce il tempo della narrazione e sa raccontare i personaggi nella misura giusta ma, soprattutto, con l’attenzione di descrivere e raccontare una vicenda senza farla diventare mitica. L’epica che trasuda dalle storie di persone geniali qui pare non esistere, non siamo di fronte a Mister Hula Hop fatto di vicende, persone e luoghi che sapevano raccontarsi come una leggenda e Zuckerberg non è il genio Will Hunting, la sua è una presenza assente, senza pathos, senza carisma e senza ideali. La premura di Fincher sembra quella di chi si preoccupa di raccontare una vicenda sì “straordinaria” ma senza incensare troppo la “genialità” del protagonista. Il regista sembra non esaltare il ribelle, il genio, il profeta (come recita uno dei trailer del film), che si nascondono in Zuckerberg, ma piuttosto la vicenda umana di un solitario disperato che alla fine rimane tale nonostante la fama, il successo e la ricchezza.
Chi si aspetta di ritrovare in The Social Network un po’ di Facebook ne rimarrà deluso (non si parla di amici, foto e profili). Chi si aspetta un’analisi su una nuova forma di comunicazione che raccoglie i disperati che sfuggono dalla noia del quotidiano ne rimarrà altrettanto scontento; Fincher non si accosta minimamente al fenomeno Facebook, non si preoccupa di descriverne le dinamiche, le potenzialità o le lacune, il regista propone l’immagine di chi è dietro Facebook e non di chi gli è davanti, scava dentro la personalità di un giovane disperato, emblema di una società dalla comunicazione facile, pressappochista ed egocentrica, dettata dal voyeurismo e dal narcisismo, di persone che si “devono” inventare qualcosa per farsi notare.

* psicologo

Don Manganiello contro Gomorra: fango su Napoli

di Marta Cattaneo

«Gomorra è un film che ha gettato solo fango su Scampia e su Napoli». Parole dure, durissime, quelle pronunciate da don Aniello Manganiello ieri pomeriggio nel corso di Domenica In – L’Arena, il programma condotto da Massimo Giletti in onda su Raiuno. E don Aniello, il quartiere all’ombra delle famigerate Vele, lo conosce bene, anzi, proprio da Scampia, se ne è dovuto andare a malincuore appena 20 giorni fa. Dopo sedici anni di battaglie. Dopo sedici anni da prete di frontiera trascorsi al fianco di chi, quotidianamente, vive con la consapevolezza di essere dimenticato da tutti, istituzioni in primis. Colpa di un trasferimento nella Capitale. Ieri, dopo appena 20 giorni, don Aniello è tornato a parlare della sua Scampia, della sua gente, di quella gente che non ha mai abbandonato e che porterà sempre nel cuore. Torna a difendere i suoi parrocchiani e lo fa attaccando il film tratto dal best seller di Roberto Saviano. «Un’operazione da cassetta – ha detto senza mezzi termini il sacerdote – che non ha avuto rispetto per nessuno, per settantamila abitanti che fanno parte della ottava municipalità». Una voce fuori dal solito coro dei consensi. Una voce autorevole di chi il territorio lo conosce per davvero. Di chi la criminalità la ha combattuta con i fatti e non solo a parole. «Un film – ha poi proseguito don Aniello – che ha gettato solo fango su Scampia e su Napoli e che ha dato nel mondo un’immagine della nostra città e del quartiere negativa». Nella pellicola di Garrone non sarebbe raccontata la vera Scampia. Bensì si vedrebbero solo «stereotipi in riferimento ad un territorio degradato, ostaggio della camorra, con gente disonesta, anarchica, illegale. Uno stereotipo che i giornali e i media ci hanno buttato continuamente addosso» dimenticandosi di quella gente onesta che, nel quartiere alla periferia nord di Napoli, vive. Perché, come spiega anche il sacerdote coraggio, «circa la presenza malavitosa o dell’indotto umano che fa riferimento alla camorra o che vive di illegalità o di espedienti l’Università Federico II ha dato dei numeri: su una popolazione di settantamila abitanti, i malavitosi sarebbero dieci o quindicimila». Insomma, per una volta, bisognerebbe vedere il bicchiere mezzo.

(dal “Roma” dell’1 novembre 2010)