Archivio mensile:Ottobre 2010

Taverna del re, discarica fuorilegge

di Franco Ortolani*

Stefano Franciosi, responsabile WWF di Lago Patria e componente della delegazione che ha potuto visitare la piazzola numero 12 di Taverna del Re insieme ad altre quattro persone, tra cui Lucia De Cicco e alcuni consiglieri comunali di Giugliano ha diffuso le foto di seguito illustrate che evidenziano una vera e propria discarica di rifiuti soli urbani a cielo aperto senza alcuna protezione alla base. Secondo l’ordinanza 512 del 27 ottobre scorso, firmata dal Presidente della provincia Luigi Cesaro, i rifiuti sarebbero dovuti essere disposti sopra un telo impermeabile. Secondo Franciosi: «Sono poche le prescrizioni dell’Asl che sono state rispettate in questa situazione». «Veniamo trattati peggio delle bestie, continua Franciosi. Questa ordinanza è solo un pretesto per scaricare quanto e come si vuole. Veniamo selvaggiamente picchiati per permettere di scaricare agli autocompattatori pieni di spazzatura proveniente da Napoli mentre noi continuiamo a tenere i nostri rifiuti in strada». Purtroppo, niente di nuovo. Lo stesso trattamento fu usato negli scorsi anni ad Acerra dove vennero scaricati migliaia di metri cubi di rifiuti senza alcuna precauzione per la tutela dell’ambiente e della salute degli abitanti come illustrano le due foto seguenti riprese nelle piazzole antistanti l’inceneritore. Taverna del Re, ovvero, il miracolo di Berlusconi? Certo il Cavaliere ha dato una lezione di “Buon Governo del fare” agli incapaci amministratori che governano la Provincia di Napoli e la Regione Campania. Ma come era così semplice fare il miracolo di ripulire Napoli in pochi giorni, non ci avevano pensato? Ma quando cresceranno e impareranno a non osservare le leggi? Non hanno ancora capito che le istituzioni preposte alla difesa dell’ambiente e alla salute dei cittadini nonché alla repressione dei reati, come prescritto dalla Costituzione Italiana e dallo Statuto della Regione Campania, sono troppo impegnate (ad esempio a collaudare l’inceneritore di Acerra e a controllare lo stato dell’ambiente circostante) o troppo distratte o molto affettuose? Si inquina l’ambiente? Si danneggiano le attività agricolo-zootecniche? Si danneggia la salute dei cittadini? Tanto prima o poi ci penserà qualche eruzione a fare piazza pulita come si augura il Capo della Protezione Civile.

* ordinario di Geologia – Università di Napoli Federico II

National Geographic: «Vesuvio. Conto alla rovescia»

di Marta Cattaneo

NAPOLI. Chi ha detto che, in caso di eruzione del Vesuvio, Napoli sarebbe al sicuro da ogni rischio? Recenti scoperte, infatti, hanno rinvenuto tracce di una precedente eruzione ad ovest del vulcano, ossia proprio nell’area metropolitana del capoluogo partenopeo. La scoperta è stata al centro del documentario “Vesuvio. Conto alla rovescia”, andato in onda su National Geographic Channel, canale 402 di Sky. Nella trasmissione il nostro vulcano viene definito, senza esitazione, «Uno dei più pericolosi al mondo» che, come spiega Charles Pellegrino, scienziato autore del libro “Fantasmi del Vesuvio”, «sicuramente erutterà ancora». Gli studiosi stanno cercando di datare la prossima esplosione e, a causa della densità abitativa della zona, temono una vera e propria catastrofe. Basti pensare che l’onda d’urto dell’esplosione degli attentati dell’11 settembre a New York sarebbe pari a un decimillesimo di quella provocata da una possibile eruzione del Vesuvio. Tanti i fattori presi in considerazione dagli studiosi dell’osservatorio vesuviano per cercare di individuare i segni di una imminente eruzione. I principali sono l’attività sismica, la composizione gassosa ed eventuali rigonfiamenti nel terreno. A testimonianza del fatto che il Vesuvio è un vulcano ancora attivo, all’osservatorio, ogni anno, vengono registrati più di duecento microterremoti di intensità inavvertibile dalla gente che, però, non sfuggono ai sismografi. Per cercare, inoltre, di individuare ulteriori segnali gli scienziati si affidano alla storia. L’ultima eruzione, infatti, risale al 1944 e, sebbene non sia nemmeno paragonabile a quella che, nel 79 dopo Cristo distrusse Pompei ed Ercolano, 26 furono le persone che persero la vita per il crollo dei tetti appesantiti dalla cenere. Ma è l’eruzione del 79 d.C. che offre maggiori spunti di ricerca. Ad essere presi in esame i segni del flusso piroclastico, una miscela di particelle solide e gassose che, a temperature elevatissime, distruggono tutto quello che incontrano. Ad Ercolano, per intenderci, oltre trecento persone morirono investite dal flusso. Una morte immediata, in appena un duecentesimo di secondo. Recentemente, però, si è aperto un nuovo scenario. Il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo e l’antropologo Pier Paolo Petrone, infatti, hanno scoperto due scheletri, nei pressi di San Paolo Belsito, unici nel loro genere. Sarebbero infatti vittime dell’eruzione, nota con il nome “Avellino” che colpì la regione nel 1780 a.C. Una esplosione terribile, ben più grave di quella che distrusse Pompei ed Ercolano che distrusse il villaggio posto a 15 chilometri dal vulcano, in un’area corrispondente all’area metropolitana di Napoli. Quasi quattromila anni fa la rioccupazione dell’area fu impossibile per circa 200 anni. Se oggi si verificasse un’eruzione analoga sarebbe una vera e propria catastrofe. «Potrebbe crollare l’economia italiana – dice John Rennie, caporedattore della rivista Scientific American – e ci sarebbero effetti gravissimi anche in Europa». Infine, nel documentario gli studiosi hanno puntato l’indice anche contro il cosiddetto piano di evacuazione in caso di eruzione. Se il capo della protezione civile, Bertolaso, è convinto che in una settimana, tra primi sintomi ed eruzione, si possa sgomberare l’area senza problemi, non tutti la pensano alla stessa maniera. Prima di tutto, alla luce anche delle recenti scoperte sull’eruzione “Avellino”, bisognerebbe ampliare la zona rossa non tenendo conto dei confini territoriali. Benedetto De Vivo, ordinario di Geochimica ambientale alla Federico II, infatti, fa l’esempio dell’ospedale del mare che, «sebbene sia a soli sette chilometri dal cratere, non è stato inserito nella zona rossa». Il dibattito è più che mai aperto, l’unica cosa certa è che, nonostante lo Sterminator Vesevo non dia segni evidenti di attività, è bene non sottovalutare la forza della natura.