Archivi categoria: Sentenze

Giornalisti, commissariato l’ordine della Campania. Il Sugc: «Ora si facciano votare tutti i colleghi»

Il Sindacato unitario giornalisti della Campania esprime apprezzamento per l’intervento del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha commissariato l’Ordine dei giornalisti della Campania dopo l’ordinanza della VII sezione del Tribunale di Napoli con cui sono state annullate le elezioni del 2021, quando a oltre 600 professionisti e a migliaia di pubblicisti venne impedito di votare. Il commissario, figura super partes, rappresenta un garanzia assoluta per tutti i colleghi affinché la tornata elettorale venga ripetuta nel rispetto della legge. Il commissario designato dal ministero è il collega Gerardo Bombonato, ex presidente dell’Ordine dell’Emilia Romagna, a cui il Sugc augura buon lavoro. È fondamentale ora che si torni alle urne il prima possibile garantendo la più ampia partecipazione dei colleghi, come ha stabilito il Tribunale e come ha sempre chiesto il Sugc, che ha sostenuto il ricorso dei giornalisti esclusi dal voto.

Ex Trentino, il giudice del lavoro condanna l’azienda a pagare il mancato preavviso a 4 giornalisti

«Il giudice del lavoro di Trento Giorgio Flaim ha condannato la società SIE SPA, che fa capo all’editore Michl Ebner, al pagamento delle mensilità di mancato preavviso a 4 ex giornalisti del quotidiano Trentino, chiuso senza preavviso il 15 gennaio 2021, ribadendo la validità degli articoli 36 della legge 416 del 1981 sull’editoria e 28 del contratto di lavoro giornalistico FIEG-FNSI. La sentenza avrà ripercussioni per altri 7 colleghi dell’ex Trentino». Lo rende noto un comunicato congiunto di Sindacato Giornalisti del Trentino Alto Adige e Federazione nazionale della Stampa italiana.

«La sentenza – prosegue la nota – riafferma un principio legislativo e contrattuale finora mai messo in discussione, in 42 anni, da nessuna azienda editoriale. Dopo la sentenza per comportamento antisindacale del 18 giugno 2021, è la seconda condanna emessa dalla magistratura del lavoro di Trento a carico di SIE SPA, il cui maggiore azionista Michl Ebner è titolare di una conglomerata con oltre 1200 dipendenti, floridi bilanci, e che non fa onore al suo ruolo pubblico di presidente della Camera di Commercio di Bolzano dopo essere stato per 25 anni deputato italiano ed europeo».

Sindacato regionale giornalisti e Federazione della Stampa «auspicano che l’editore Michl Ebner voglia ora ristabilire corrette relazioni sindacali, interrotte il 9 febbraio 2021, e riavviare una trattativa per risolvere pacificamente gli altri 7 contenziosi dei giornalisti fuoriusciti dall’ex Trentino».

Dal canto suo, SIE SPA sottolinea in una nota come «la giustizia civile costituisca l’ambito naturale nel quale si confrontano e si dirimano posizioni divergenti tra le parti. Restando convinti della correttezza, nel merito e nel metodo, fin qui adottata dalla società – si legge – si preannuncia fin d’ora ricorso in appello».

Diffamazione e minacce a Paolo Borrometi, quattro condanne e un’assoluzione a Ragusa

Si è concluso con quattro condanne ed una assoluzione col rito abbreviato davanti al giudice monocratico del Tribunale di Ragusa, il processo a carico del boss Venerando Lauretta, Riccardo Lauretta, Francesca Luana Campailla, Alessandro Bellante che rispondevano di diffamazione aggravata nei confronti del giornalista Paolo Borrometi, vice direttore dell’Agi, e Ivan Lo Monaco, che rispondeva anche di minaccia grave e continuata attraverso social network nei confronti di Borrometi.

Le frasi oggetto del processo sono state scritte sotto gli articoli pubblicati dal giornalista che avevano come titolo “Vittoria, il giallo box 65 col socio occulto, Venerando Lauretta. Fuori i mafiosi dal mercato” e “Comiso, arrestato Mario Campailla U Checcu. Per la Dna è il capomafia della Stidda”.

Per Alessandro Bellante e Venerando Lauretta, il giudice ha emesso la condanna con il pagamento di una multa di 800 euro ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali. Riccardo Lauretta e Francesca Luana Campailla invece sono stati condannati con il pagamento di una multa di 900 euro ciascuno oltre alle spese processuali.

Tutti e 4 dovranno pagare un risarcimento da 1000 euro ciascuno a Borrometi a decorrere dal passato in giudicato della sentenza. Venerando Lauretta era stato già condannato dal Tribunale di Ragusa nel 2018 per minacce aggravate dal metodo mafioso e nel giugno scorso per diffamazione, sempre nei confronti di Borrometi. Assolto invece per non avere commesso il fatto Ivan Lo Monaco per la mancanza della prova della riferibilità del profilo Facebook allo stesso. (Agi)

La Cassazione: chi svolge attività giornalistica deve essere iscritto all’Inpgi

L’iscritto all’Ordine dei giornalisti che svolge attività giornalistica in un ufficio stampa, non importa se di un ente pubblico o di un privato, deve essere iscritto all’Inpgi. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione in una recente sentenza, come riporta il blog a cura dell’Istituto, Inpginotizie.it.

Intervenuta sul ricorso proposto da una Asl che aveva contestato il verbale ispettivo dell’Inpgi con il quale erano stati richiesti contributi previdenziali per due giornalisti dipendenti dell’azienda sanitaria, denunciati ad altro ente, la Suprema Corte ha ribadito, inoltre, che ai fini dell’iscrizione alla Cassa previdenziale non conta il contratto di lavoro applicato, quanto le mansioni effettivamente svolte.

«La Corte – si legge sul blog – dopo aver ricostruito la storia dell’assicurazione previdenziale Inpgi sotto il profilo normativo, giunge alla conclusione che l’attività svolta dagli iscritti all’Albo presso gli uffici stampa non può che essere giornalistica. Con la decisione in questione sono stati enunciati due principi di diritto fondamentali: “deve essere considerata giornalistica l’attività svolta nell’ambito dell’ufficio stampa di cui alla L. 150/2000 per il quale il legislatore ha richiesto il titolo dell’iscrizione all’albo professionale e previsto un’area speciale di contrattazione con la partecipazione delle OO.SS. dei giornalisti”; e “in presenza di svolgimento di attività giornalistica l’iscrizione all’Inpgi ha portata generale a prescindere dalla natura pubblica e privata del datore di lavoro e dal contratto collettivo applicabile al rapporto”».

In particolare, si rimarca ancora da via Nizza, «va sottolineata la valenza del secondo principio, in quanto si riafferma ciò che da anni l’Istituto persegue costantemente con la sua attività amministrativa, ispettiva e legale e cioè assicurare il corretto adempimento contributivo nei confronti dell’Inpgi da parte di qualsiasi datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze giornalisti che svolgono attività giornalistica».

Cumulo tra pensione e redditi, Inpgi: «L’ordinanza della Cassazione non intacca il Regolamento»

Con una recente pronuncia – ordinanza n. 21470 del 6 ottobre 2020 – la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione del cumulo pensione-reddito nell’ambito del regime dell’Inpgi disponendo la restituzione al pensionato che aveva promosso il giudizio delle quote trattenute in applicazione dell’articolo 15 del regolamento dell’Ente. «Il Collegio Giudicante – si legge in un post pubblicato su InpgiNotizie.it – ha richiamato la precedente sentenza della Corte di Cassazione n. 19573 del 19 luglio 2019, che costituisce l’unico precedente orientato in tal senso in uno scenario complessivo nel quale la stessa Sezione Lavoro ha invece assunto un orientamento che conferma l’efficacia e la legittimità delle norme in materia di cumulo tra pensione e reddito previste dal Regolamento dell’Istituto. Orientamento confermato tra l’altro in ben cinque sentenze della Corte di appello, passate già in giudicato».

Pertanto, rileva l’Inpgi, la recente ordinanza «spiega i suoi effetti limitatamente al caso concreto e quindi dalla stessa non deriva e non può derivarne alcun generalizzato effetto abrogativo o disapplicativo della relativa norma Regolamentare interna (art. 15), che continua quindi a trovare piena applicazione».

Entrando nel merito della questione, l’Istituto osserva poi che «la disciplina sul cumulo pensione-reddito per gli enti pubblici prevede che gli enti privatizzati, sulla base dell’autonomia loro attribuita del decreto legislativo 509/94, possano adottare regole diverse da quelle previste per la generalità degli enti pubblici. La ratio della norma, quindi, è quella di attuare correttamente i principi della privatizzazione che, nel disporre la trasformazione degli enti e delle casse di previdenza di professionisti in soggetti giuridici privati, riconosce ad essi il potere di disciplinare in autonomia la materia dei contributi e delle prestazioni, in funzione della preminente esigenza di garantire gli equilibri finanziari».

Anche la giustizia amministrativa, aggiunge l’Ente, «ha riconosciuto la sussistenza di una autonomia regolamentare dell’Inpgi nel disciplinare la materia previdenziale, tenuto conto del processo di “sostanziale delegificazione” post-privatizzazione, alla stregua del quale la legittimità dei relativi provvedimenti deliberativi adottati dall’Inpgi va valutata tenendo conto della finalità dell’atto ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine. Condizione questa ampiamente rispettata anche nella delibera che ha disciplinato presso l’Inpgi il regime di parziale cumulabilità della pensione con reddito da lavoro».

Per queste ragioni, conclude l’Inpgi, «tenuto conto dei precedenti orientamenti confermativi della fondatezza e legittimità della misura dettata dal richiamato articoli 15 del Regolamento, l’Istituto continuerà ad applicarne puntualmente la disciplina».

Contributi all'editoria, Lorusso: «Dalla Consulta un monito a tutelare il pluralismo. Crimi si fermi»


«La sentenza della Corte Costituzionale in materia di contributi all’editoria riveste particolare importanza. Pur non riconoscendo l’esistenza di alcun diritto soggettivo delle imprese editoriali a ricevere contributi pubblici, la Consulta ribadisce che tutelare e sostenere il pluralismo dell’informazione è ‘un imperativo costituzionale’. Per questa ragione ha ritenuto censurabile la fissazione dal parte del governo delle disponibilità finanziarie da destinare all’editoria, in assenza di criteri certi e obiettivi fissati dal legislatore. Questo passaggio della sentenza rende necessario l’intervento del Parlamento per ridefinire tali criteri e obiettivi». Lo afferma Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana, commentando la decisione dei giudici costituzionali.
L’attuale sistema, rileva infatti la Corte Costituzionale, ‘è affetto da un’incoerenza interna, dovuta a scelte normative che prima creano aspettative e poi autorizzano a negarle’. «Tutto il contrario – prosegue Lorusso – della narrazione propinata dal sottosegretario all’Editoria, Vito Crimi, e dai suoi sodali, basata su un assunto evidentemente falso, quello cioè che i governi precedenti all’attuale, avrebbero elargito le risorse con assoluta discrezionalità. L’unica discrezionalità ravvisabile in questa vicenda è quella del sottosegretario in carica che si è arrogato il diritto di tagliare il fondo per il pluralismo dell’informazione, ponendo le basi per la chiusura di numerose testate e la perdita di un migliaio di posti di lavoro».
«È pertanto auspicabile – conclude il segretario generale della Fnsi – che il Parlamento si riappropri della materia e riscriva le regole per un settore che va rilanciato anche con il sostegno pubblico, esattamente come avviene in altri Paesi dell’Europa e del mondo. Anziché rallegrarsi per i tagli, il sottosegretario Crimi farebbe bene a riflettere sul fatto che l’Italia è al penultimo posto in Europa per i finanziamenti all’editoria e a riconsiderare l’impostazione data ai cosiddetti Stati generali, diretta a colpire il pluralismo, a cancellare il pensiero critico, a ridurre i posti di lavoro e, in ultima analisi, a impedire all’opinione pubblica di informarsi correttamente».

Solo i giornalisti possono condurre un notiziario radiofonico. La sentenza della Cassazione: esercizio abusivo della professione se non si è iscritti all’albo


 
Solo i giornalisti possono condurre un notiziario radiofonico. Con sentenza n. 41765/2017 la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per l’esercizio abusivo della professione di giornalista comminata un anno fa ad un conduttore radiofonico dalla Corte d’appello di Trento – Sezione Distaccata di Bolzano – per la violazione dell’art. 348 Cp.
La motivazione della condanna, riassume Confindustria Radio Tv, si riporta all’aver condotto notiziari radiofonici, esercitando quindi abusivamente la professione di giornalista senza essere iscritto nell’albo dei giornalisti.
La Corte di Cassazione ha inoltre confermato, sempre con la medesima decisione, la condanna per stampa clandestina al legale rappresentante dell’emittente in quanto la testata attraverso la quale venivano diffusi notiziari radiofonici non risultava essere iscritta, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 47/1948, nell’apposito registro istituito presso il Tribunale competente.

La società della Regione licenzia giornalista, tre ricorsi. Il Sugc: record di illegittimità

Elisabetta Donadono

Elisabetta Donadono


Licenziata l’unica giornalista assunta a tempo indeterminato da Digitcampania, partecipata della Regione Campania in liquidazione. Domani 8 novembre 2016 ci sarà la prima udienza della causa contro il licenziamento. Si tratta solo di uno dei tre ricorsi presentati dalla collega Elisabetta Donadono contro Digitcampania e SviluppoCampania per ottenere il riconoscimento dei propri diritti.
Una vicenda nella quale le azioni illegittime da parte delle società controllate dalla Regione si sprecano. Nel 2015, con una sentenza esemplare, il Tribunale del lavoro di Napoli rileva che i contratti a progetto firmati ripetutamente con Digitcampania erano soltanto fittizi e riconosce il rapporto di lavoro subordinato della collega secondo quanto previsto dal Contratto nazionale di lavoro giornalistico. La società viene condannata a pagare gli arretrati e a collocare nell’organico la giornalista.
Intanto, l’azienda viene messa in liquidazione e viene creata SviluppoCampania, dove sarebbero dovuti confluire tutti i dipendenti di Digitcampania. In effetti, i trasferimenti vengono effettuati, ma l’unico lavoratore che resta fuori è proprio la Donadono, nonostante il commissario liquidatore avesse comunicato a SviluppoCampania che l’elenco doveva essere integrato con la giornalista.
Risultato? Digitcampania non solo non ha pagato gli stipendi arretrati, come intimato dal giudice, ma ha anche licenziato la collega.
Il Sindacato unitario giornalisti della Campania chiede che venga ripristinata la legalità e che, quindi, venga ritirato il licenziamento, vengano pagati gli stipendi arretrati e che si dia seguito a quanto previsto dalla legge 15 della Regione Campania, con il trasferimento della collega presso SviluppoCampania. È impensabile che società controllate di fatto da un ente pubblico si comportino con tale disinvoltura nell’interpretazione delle regole a danno dei lavoratori.

Diffamazione, direttore del "Roma" condannato a due anni di carcere: «Sentenza inaccettabile»

Pasquale Clemente

Pasquale Clemente

Il direttore del quotidiano “Roma” Pasquale Clemente è stato condannato in primo grado a due anni di carcere per diffamazione a mezzo stampa, questo significa che se la sentenza non verrà ribaltata in Appello e se non si arriverà alla prescrizione, un altro giornalista andrà in cella per aver scritto quello che pensa. La sentenza del Tribunale di Nola arriva a seguito di una querela da parte dell’allora magistrato e senatore Pasquale Giuliano per un articolo pubblicato sulla “Gazzetta di Caserta”, giornale diretto allora proprio da Pasquale Clemente. Questo accade proprio mentre la commissione Giustizia del Senato licenzia, quasi con voto unanime, il Ddl che prevede l’inasprimento delle pene per il reato di diffamazione a mezzo stampa proprio nei confronti di magistrati e politici, due categorie alle quali appartengono lo stesso querelante e il giudice che sentenziato la condanna del direttore del “Roma”.

 

“Non è accettabile e neanche degna di un Paese civile la sentenza con cui il tribunale di Nola ha condannato a due anni di reclusione il direttore del quotidiano Roma, Pasquale Clemente, riconoscendolo colpevole di diffamazione a mezzo stampa nei confronti del già parlamentare e magistrato Pasquale Giuliano”. Lo affermano, in una nota, il segretario generale e il presidente della FNSI, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, e il segretario del sindacato dei giornalisti della Campania, Claudio Silvestri. “Senza entrare nel merito della vicenda, che risale ai tempi in cui Clemente dirigeva la Gazzetta di Caserta – dicono – l’aspetto sconcertante riguarda la condanna al carcere del giornalista, in applicazione di una norma, quella dell’articolo 595 del codice penale, ormai fuori dalla storia, ma sulla cui cancellazione, più volte auspicata dagli organismi internazionali, il Parlamento non solo continua a tergiversare, ma immagina addirittura forme di inasprimento, come dimostra la norma recentemente approvata in commissione Giustizia al Senato. I giornalisti non chiedono tutele speciali e neanche impunità. Il carcere rappresenta una misura sproporzionata, oltre che una forma surrettizia di bavaglio all’informazione. È per questo necessario che riprenda al più presto l’esame della proposta di legge volta a cancellare le pene detentive per i giornalisti e che si abbia il coraggio di istituire il giurì per la lealtà dell’informazione, a tutela del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. Al collega Clemente, la solidarietà e la vicinanza del sindacato dei giornalisti italiani”.

La Cassazione: i giornalisti pubblicisti obbligati a versare i contributi all'inpgi

 
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Il giornalista iscritto all’albo deve versare i contributi all’Inpgi. Anche se si tratta di un giornalista pubblicista. Anche se i redditi sui quali vanno pagati i contributi derivano da attività occasionale. In questo caso vale anche l’obbligo di iscrizione alla gestione separata della cassa previdenziale di categoria. Lo ha di recente ribadito la Corte di Cassazione respingendo il ricorso presentato da un giornalista pubblicista che si opponeva alla condanna, confermata in Appello, al pagamento dei contributi arretrati richiesti dall’ente. «Come questa Corte ha già avuto modo di affermare – si legge nella sentenza – il giornalista pubblicista ha l’obbligo di contribuire alla “gestione separata” dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) se è iscritto nell’elenco dei pubblicisti e svolge attività giornalistica libero-professionale, anche se questa abbia carattere occasionale e non abituale». Con l’iscrizione all’albo, precisa ancora la Suprema Corte, si realizzano infatti le condizioni per lo svolgimento di un’attività, quale quella del pubblicista, che può assumere contenuti molteplici, anche per ciò che attiene il relativo impegno lavorativo, del tutto rimesso alla discrezionale valutazione dell’interessato, «e non casualmente, pertanto, la legge connette a tale iscrizione, che costituisce un atto volontario del professionista, l’obbligo di contribuzione nelle forme della gestione separata, alla sola condizione dell’assenza di un vincolo di subordinazione». Nel motivare la decisione, la Corte rileva, infine, la coerenza della situazione giudicata con la norma del decreto legislativo 103 del 1996 che prevede «per evidenti fini di solidarietà di categoria, ed analogamente a quanto stabilito per altre casse dei liberi professionisti, il versamento di una contribuzione minima annuale, dovuta, quindi, a prescindere dall’entità del reddito prodotto e dalle caratteristiche, anche solo occasionali, della prestazione». Questa sentenza ripropone il problema dei circa 50mila iscritti all’Ordine dei giornalisti che non risultano titolari di una posizione previdenziale all’Inpgi. Alcuni Ordini regionali, in applicazione della legge e in linea con l’orientamento della Corte di Cassazione, hanno avviato le procedure di cancellazione dei giornalisti non iscritti all’Inpgi, nell’ambito dell’attività di revisione degli elenchi prescritta dalla legge.